Mi fai l’addormentamento?

Ho un po’ paura su questi pattini, ma le paure si superano, mi dici sempre tu.

Carolina aveva 9 anni quando ha detto queste parole a Martina, educatrice de L’Ora Blu, la nostra prima comunità di accoglienza per bimbe e bimbi dai 2 ai 12 anni, vittime di maltrattamenti e abusi e che, per questo, temporaneamente devono vivere lontano dalle loro famiglie.

Io avevo la mano della mamma o del papà per addormentarmi. Loro hanno la nostra.
Io avevo una fiaba, o la mia canzone preferita. Loro hanno strampalati rituali, molto diversi con ognuno di noi. Tanti di loro guardano fisso il muro prima di addormentarsi. Spesso guardano spaesati noi, capitati per caso nelle loro vite, ma seduti sul letto a dare la buonanotte, rassicurare, coccolare.
“Martina ho sete, Martina ho male al dito, Martina metti la crema, Martina mi scappa la pipì, Martina io non ho lavato i denti, Martina mi tieni la mano… se vuoi io tengo la tua…”.

Sono tante, e preziose, le “piccole gigantesche” storie che abbiamo incontrato, amato, sofferto in questi anni. Martina ne ha raccontate alcune, che ha vissuto in prima persona, in Mi fai l’addormentamento? Poetica educativa in una comunità per bambini.

 

Due anni e mezzo fa, quando è arrivato, quasi non parlava. Scriveva solo qualche parola qua e là, frasi non compiute, e non perché non fosse capace o avesse qualche difficoltà, ma perché il suo dolore, la sua rabbia, la sua tristezza, la sua paura, superavano e annientavano qualsiasi cosa. Dopo tanti pupazzi e ciabatte viste arrivare a velocità razzo mirando perfettamente la mia testa, dopo giorni, mesi, passati chiusi in una stanza, in un armadio, sotto un letto, arriva un bigliettino con scritto: “ti voglio bene”. Chiunque è capace di scriverlo, ma lui no. Non era capace. Non era capace di richiedere un abbraccio, di stare seduto a tavola, di farsi coccolare prima della buona notte, di dire “ciao” senza giustapporci un puntuale “che cazzo vuoi?”. Ma ieri è sbocciato questo biglietto, per la prima volta, dopo due anni e mezzo.

Martina racconta queste storie perché, come dice Laura Formenti nella postfazione al libro, le storie “ci fanno incontrare i protagonisti, scoprire i loro tesori nascosti, danno voce a quello che conta per loro e smuovono i nostri preconcetti, per accorgerci di qualcosa che avremmo dovuto sapere fin dall’inizio: che sono bambini e bambine, i soliti, curiosi, dispettosi, provocatori, gentili, emozionanti, bisognosi d’amore e di qualche esperienza di normale quotidianità. E avere accanto una persona capace di coglierlo è un dono che la vita distribuisce in quantità diseguali. Cerchiamo di far sì che, se non può essere un genitore, ci sia qualcuno in grado di farlo.”

E noi lo facciamo ogni giorno, dal 1996.

Tre anni dopo le dimissioni, una notte mi manda un messaggio: “Maronna mi mancate, renditi conto che adesso che sono più grande vorrei tornare lì. Se io non fossi stato da voi ora non saprei ancora esprimere un’emozione.

 

 

 

 

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